26 Mag San Mamete Valsolda – Culto
San Mamete nelle cartine topografiche è indicato col nome di San Mamete Valsolda, secondo la denominazione della sede comunale di tutta la Valsolda che vi fu posta nel 1927, poiché della Valsolda San Mamete era sempre stato il centro maggiore, sede del Pretorio nei secoli scorsi. Le sono aggregate le frazioni di Oria, Albogasio, Castello, Lòggio, Drano, Pùria, Dàsio, Cressogno, oltre a Santa Margherita, sulla sponda opposta del lago. Il paese è posto in amena posizione al centro della Valsolda, in un’insenatura che volge a tramonto, “dove la costa face di sé grembo”, per dirla con Fogazzaro, sulla sponda del torrente Soldo, tra allori, cipressi ed ulivi. Si eleva su piccolo promontorio sempre più protendentesi nel lago, perché le piene hanno formato un delta alluvionale in continuo aumento.
San Mamete è residenza amena per mitezza di clima, per salubrità d’aria, per ubertosità del suolo e per le bellezze panoramiche.
Ha una bella piazzetta in pendio, aperta verso il lago, dove si trova lo scalo dei battelli. Il porticciuolo è fronteggiato da case signorili con portici e loggiati, sotto i quali s’aprono caratteristici negozi. Sotto il portico è ancora visibile il rialzo con le colonne cerchiate in ferro, alle quali anticamente venivano legati, per subire la ‘berlina’, i colpevoli di qualche reato. Accanto vi era la farmacia Ambrosoli, ritrovo favorito dei personaggi di Piccolo mondo antico, poi trasferita in fondo al paese e dal 1966 posta in sede nuova presso il comune.
Salendo una ripida e caratteristica gradinata, ci si presenta la chiesa plebana-prepositurale-parrocchiale, dedicata ai santi martiri Mamete e Agapito, il primo dei quali diede il nome anche a quella terra. Salendo la scalinata, notiamo su di una vecchia casa un’iscrizione latina ammonitrice, sormontata da uno sbiadito stemma arcivescovile: era l’antico Pretorio, ora casa prepositurale. Rimangono ancora le fitte grate lignee, un tempo ferree, dell’antica prigione o “orba”. Dentro, nell’antica sala della Ragione, o Pretorio, prima del 1600 si radunavano i consiglieri e il podestà della valle. Restano i sedili di pietra, l’aula del tribunale, ora legnaia, l’aula dell’archivio del governo portante gli stemmi arcivescovili e un affresco del 1645 rappresentante la Giustizia.
Chiesa di San Mamete, con bella e robusta torre campanaria. La chiesa risulta la più antica delle chiese valsoldesi. È posta a vedetta sopra il paese, in posizione stupenda e poetica, a ridosso del monte, in vista della parte occidentale della valle e del lago.
La data 1514 è scolpita nella base destra della facciata. Sull’acciottolato antistante il portale spicca, in ciottoli bianchi, una croce a ricordo che la chiesa fu consacrata dal cardinale Stefano Nardino (1461-1484) il 2-3 gennaio 1470; e l’anniversario si celebrava ogni anno coi bagordi della “Luoressa” o “Godarizia” per quei di Porlezza e Tavordo.
Il piccolo portale barocco spicca contro la liscia facciata: nella lunetta è dipinto Gesù fra i santi Mamete e Agapito. Le rifiniture sono del 1904, ma i mascheroni sono antichi. Benché la chiesa sia stata rialzata nel 1600 e ridotta a volta, si notano ancora all’esterno del lato nord i resti degli archetti romanici e sulla fronte appare anche il rosone dipinto che contornava l’oculo di facciata. È evidente l’antico impianto del campanile, prima staccato dal corpo della chiesa e poi congiuntovi. Sul lato si vedono alcuni affreschi murali di stemmi arcivescovili: uno di Cesare Monti (1632-1650), l’altro di Carlo Andrea Ferrari, in memoria dell’ultima sua visita pastorale in Valsolda (1921), del Tosi (1929) e di Schuster (1930), e su quello a monte alcune decorazioni in cotto di stile lombardo. Prima del 1567 la chiesa doveva avere un solo altare. Federico Borromeo ordinò (1606) che venisse resa più bella, che la sacrestia fosse ampliata e che un vestibolo fosse eretto davanti alla chiesa.
Gli affreschi dietro l’organo, che ricoprì due figure di angeli, sono del canonico Bellotti di Busto Arsizio; i dipinti dell’altare maggiore di Salvatore Pozzi (1637). Il parroco Domenico I Pozzi fu il promotore dei lavori e fu raffigurato, anziano, nel Martirio di S. Agapito, che fu eseguito a sue spese, mentre agli altri lavori sopperirono gli abitanti di San Mamete e di Casarico.
La pala dell’altare maggiore (Cristo crocifisso), ad affresco, è in parte nascosta dal tempietto barocco dell’altare, e guastata alla base da infissi in ferro. La cinquecentesca Madonna col Bambino e S. Mamete è ancora la pala, purtroppo mutila, di uno degli altari fatti rinnovare da S. Carlo nella sua visita pastorale. Nell’alto, sopra il tempietto, è dipinto Cristo risorto che appare alla Maddalena. Nella cappella laterale degli Angeli gli affreschi sono del Seicento e dello stesso autore delle cappelle dell’Annunciata di Albogasio. Dinanzi alla cappella dello Sposalizio è la tomba di Pietro Bellotti, del 1744, il quale fece erigere la cappella e la tomba per sé e gli eredi.
In sacrestia degni di nota sono il marmoreo reliquiario della Santa Croce, già probabile tabernacolo dell’antica chiesa, attribuibile al Bregno, e dodici belle tele raffiguranti le teste degli apostoli, delle quali la migliore è quella di S. Giovanni. Si conserva anche lo statuto della Confraternita, detta la Compagnia di S. Pietro martire.
Nativi di San Mamete sono i pittori Bellotti. Il Barrera dice che un Bellotti, canonico a Busto Arsizio, fece le sue prime prove di pittore nella sala del Capitolo e voleva emulare Daniele Crespi nella cappella di destra della Certosa di Garignano a Musocco (Milano), affrescando le storie della Vergine. Raffigurò, si assicura, sotto le spoglie dei pastori che rendono omaggio a Gesù, i brutti ceffi che annidati nell’allora vicino bosco della Merlata aggredivano e derubavano i passanti. Egli doveva completare l’opera nella cappella di fronte, ma poiché un tale gli aveva detto che egli era rimasto molto al di sotto del Daniele Crespi, il buon Bellotti gettò i pennelli e non volle più saperne di completare la sua opera. Un Mammete Bellotti, impresario a Torino, fu decorato dell’Ordine Mauriziano e fu avo materno di Monsignor Renaldi; una Veronica Bellotti fu ava materna del senatore e scrittore Antonio Fogazzaro. Un Giovan Pietro Bellotti fu segretario della confraternita di san Maurizio in Napoli.
Oratorio della natività di san Carlo. Su di un pittoresco poggio, che si erge sopra S. Mamete, è il piccolo e grazioso tempietto in elegante stile ionico a pianta ottagonale, che pare sia stato costruito dal fratello minore di Pellegrino Pellegrini, Domenico Tibaldi di Puria. Quando nel novembre 1610 Carlo Borromeo fu santificato, i Valsoldesi, in riconoscenza del bene da lui ricevuto, vollero che in tutte le chiese della valle venisse eretta una cappella dedicata al nuovo santo (manca in quelle di Oria e Albogasio) e che le chiese più ricche costruissero un tempietto in amena posizione. Si vuole che durante la seconda visita (1582) che san Carlo fece alla Valsolda, nel recarsi da San Mamete a Loggio, stanco, appoggiasse una mano su quella roccia ove sorge oggi l’oratorio. La tradizione vuole che nel punto ove il santo aveva appoggiata la mano, rimanesse impressa, come ricordo, una croce, un tempo chiaramente visibile.
Nell’interno dell’oratorio pure in stile ionico come pala d’altare è una tela che rappresenta il battesimo di san Carlo. Il curato di San Mamete, Domenico Pozzi, che stese la relazione della peste del 1630, scrive che in tal anno fu fatta una processione nella festa di san Carlo, nella quale furono portate le reliquie del santo con quelle d’altri santi, donate dall’arcivescovo d’allora, Federico Borromeo, all’oratorio della Natività di san Carlo sopra San Mamete.
Ireneo Simonetti
(estratto dal volume: “Valsolda”, Tip. Arcoveggio, Bologna 1995)