14 Mag Passio Enciclica – Agiografia
Nota al testo:
Il testo originale, in greco, risalente al VI secolo, fu voltato in latino, quattro secoli dopo, da un monaco dell’Abbazia di Bobbio. Il manoscritto della traduzione, attualmente conservato presso la Biblioteca Nazionale di Torino [segn. F. III. 16], è stato pubblicato in Anal. Boll., LVIII (1940), pp. 126 – 141. Se ne fornisce qui il volgarizzamento in italiano, dovuto a don Primo Bolzoni.
1. Ai santi fratelli delle Chiese d’Oriente e d’Occidente, a tutti i vescovi, al clero e al popolo, i vescovi Euprepio, Cratone e Perigene augurano salvezza eterna.
Mentre a Cesarea di Cappadocia il vescovo Taumasio predicava pubblicamente il Cristo Figlio di Dio e convertiva molti cuori alla fede, la sua fama giunse fino all’imperatore Aureliano. Furono quindi inviati duemila soldati con a capo il conte Claudio con l’incarico di catturarlo e di uccidere tutti coloro che avevano creduto in Cristo.
Entrato nella città di Cesarea con un ingente drappello di soldati, il conte Claudio si diresse verso la chiesa. Era domenica. Tutto il popolo cristiano si trovava là per ascoltare il santo vescovo che predicava sulle Scritture. Entrato dunque con i soldati, passò in mezzo al popolo e si diresse verso Taumasio per catturarlo.
2. Il vescovo gli intimò di stare fermo fino a che non l’avesse interrogato. A questo comando il conte Claudio diventò immobile, a tal punto che nessuna parte delle membra poteva muoversi. Assiso sulla sua cattedra, Taumasio lo interrogò: “La divinità di Nostro Signore Gesù Cristo vince la tua ignoranza affinché tu professi ciò che in te stesso provi”. Claudio rispose ad alta voce: “L’imperatore Aureliano mi ha mandato con i soldati per ucciderti di spada e sopprimere anche costoro con diversi supplizi, ma il Dio che tu onori è tanto potente da farmi rimanere fisso come una pietra e da ammansire come pecore questi soldati che con me sono entrati come leoni ruggenti. Per quanto è dato capire, Dio vuole che noi da parte nostra soffriamo ciò che avremmo voluto far soffrire a voi”.
3. Il vescovo rispose: “Al nostro Dio non piace che i suoi fedeli rendano male per male, ma che rispondano al male col bene”. “Come mai allora – disse Claudio – siamo tenuti legati da vincoli invisibili e il nostro corpo non ha libertà di movimento?” “Per il fatto che siete entrati con audacia nel suo tempio – rispose il vescovo – ritenendo che non fosse il vero Dio colui che noi adoriamo. Perciò vi ha fatto il dono di rendervi pecore da lupi che eravate e da serpenti ha fatto di voi delle colombe; null’altro manca che crediate e ve ne andiate per la vostra strada”. “In che modo dobbiamo credere al vostro Dio?” domandò Claudio. Rispose Taumasio: “Chiunque a gran voce proclami che Cristo Figlio di Dio è il vero Dio sarà sciolto dai legami che lo tengono avvinto”. Allora il conte Claudio insieme a tutti i soldati incominciò a gridare: “Cristo Figlio di Dio è vero Dio”.
4. Subito sciolto dai legami, credette e fu battezzato ed insieme a lui ricevettero il Battesimo più di duecento soldati che aderirono a san Taumasio. Gli altri soldati fecero ritorno all’imperatore Aureliano e riferirono tutto ciò che era avvenuto. L’imperatore li destinò ad altro compito, temendo che, inviando altre persone, divenissero anch’esse credenti. Era infatti imminente la guerra contro i Persiani che egli stesso aveva ingaggiato. Così avvenne che per cinque anni la Chiesa di Cesarea di Cappadocia visse in pace. Ormai anziano, reso perfetto nel timore di Dio, il nostro Taumasio tornò al Signore. Lasciò tra coloro che assisteva anche un ragazzo dodicenne di nome Mamete.
5. Dopo la morte del vescovo Taumasio, i pagani insorsero incendiando la chiesa e uccidendo molte persone. Risparmiarono solo Mamete in considerazione della sua età. Poiché il ragazzo, ripieno di Spirito Santo, predicava in pubblico, alcuni lo disprezzavano perché non credevano, altri perché ne avevano timore. Una voce allora gli parlò dicendo: “Le bestie del campo ascoltano più facilmente la Parola di Dio e lo venerano con timore; i figli degli uomini invece sono rimasti duri di cuore e d’animo come le pietre. Esci dunque, Mamete, in mezzo ai lupi e là predica la mia parola, perché la ascoltino tutte le fiere dei boschi a condanna degli uomini ed esse stesse siano loro di rimprovero nel giorno del giudizio”.
6. Uscì dunque Mamete dalla città secondo l’ordine del Signore. Piangeva perché era stata devastata la chiesa e tutti avevano abbandonato la legge del Signore. Piangeva anche per il fatto che nulla era rimasto dei codici sacri, ma tutti erano stati preda del fuoco. Pregava dunque il Signore perché gli facesse trovare i Vangeli. Terminata la preghiera, levati gli occhi al cielo in segno di adorazione, gli fu rivolta questa voce: “Prendi questo bastone e portalo sempre nelle tue mani, per tutto ciò che mi chiederai, terminate le tue preghiere, percuoterai con esso la terra ed essa ti darà una pietra e ubbidirà ai tuoi desideri”.
7. Prendendo con sé il bastone, si prostrò con la faccia a terra e piangendo disse: “Ascolta, o terra, poiché il Signore ha parlato: ho generato dei figli e li ho allevati, tuttavia essi mi hanno disprezzato. Conosce il bue il suo padrone e l’asino la greppia del suo signore, Israele non mi ha conosciuto. Guai a voi, o Israeliti, che non avete voluto riconoscere il Signore che il bue e l’asino nel presepio hanno riconosciuto. Guai a voi, o popoli, che non avete creduto nel Signore Gesù Cristo che vi ha chiamati alla sua grazia, avete dato alle fiamme il santuario di Dio e le sue scritture. Cosa aspetto ad andare con le fiere ed abitare con loro con più sicurezza a vostra condanna? Dammi, o terra, per comando del Signore nostro Gesù Cristo il suo Vangelo, perché lo porti alle bestie del campo e a loro lo annunzi. Con esse sia per me la Chiesa”. Dicendo queste cose, percosse la terra con la verga e subito apparve un libro con i quattro Vangeli. Presolo, si diresse verso il monte, dove trovò una grotta nella quale giorno e notte adorava il Signore Dio suo. Verso l’ora nona tutte le bestie si radunavano attorno a lui per ascoltarlo mentre leggeva. Gemendo e compiangendo gli uomini, diceva: “È dato di ascoltare la potenza del Signore a voi, a cui non è nemmeno promesso il Regno dei Cieli per chi custodisce la Parola di Dio e neanche di temere il supplizio della Geenna, i figli degli uomini invece perdurano nel loro disprezzo”.
8. Mentre piangeva e digiunava, gli apparve un Angelo del Signore che gli mostrò un albero nel quale c’erano abbondanti favi di miele e gli disse: “Da questa pianta prendi il miele e dalle mammelle delle fiere mungi il latte. Dio, infatti, che tu servi sin dall’infanzia ti ha concesso questi segni della gioia futura, poiché ti farà entrare nella terra che produce latte e miele”. Ogni giorno verso sera san Mamete mungeva le fiere; nutrito con abbondanza da questo latte e di un po’ di miele, confezionava formaggi con ciò che avanzava. Leoni grandi e feroci ogni giorno venivano a lui accovacciandosi ai suoi piedi, mentre egli cantava i salmi e si ponevano dietro di lui e quando pregava anch’essi si prostravano fino a terra. Dopo circa un’ora tutte le bestie erano presenti. Per le sue preghiere e al tocco del bastone, aveva trovato un pozzo al quale si abbeverava. Riempiendo delle forre che la natura aveva formato con pietra grezza, dopo la preghiera le invitava tutte ad abbeverarsi. Sebbene l’indole delle bestie sia tale che l’una non passi accanto all’altra senza un moto di ferocia, in quel luogo restavano tutte in pace e silenziose; su invito di Mamete si avvicinavano all’acqua con riverenza e, dopo aver bevuto, nessuna osava allontanarsi senza il suo comando.
9. In questo modo san Mamete trascorreva i suoi giorni. I formaggi che confezionava sotto la guida dell’Angelo li offriva a coloro che a causa della persecuzione vivevano in clandestinità. In quest’opera di carità Mamete trascorse cinque anni e sei mesi. Fu inviato da parte dell’imperatore Aureliano un nuovo preside di nome Alessandro, del quale nessuno fu più scellerato. Era sacrilego e cultore degli idoli e dimostrava la sua ferocia facendo strage di molti testimoni di Cristo. Giunse ai suoi orecchi la notizia che Mamete, circondato da gruppi di animali, ogni giorno persisteva nel culto cristiano. Inviò quindi molti soldati perché lo catturassero. Li avvertì dicendo: “Tutti i sacerdoti dei templi mi hanno riferito che costui è un mago, badate di usare cautela nel prenderlo”. Partiti che furono, i cavalieri armati si imbatterono sul monte in Mamete e gli chiesero: “Giovane, indicaci dove abita Mamete”. Egli rispose: “Ditemi perché avete bisogno di lui ed io ve lo mostrerò”. Quelli dissero: “È accusato di essere un mago che vagando per il monte chiama a sé tutte le fiere”. Egli rispose: “Entrate prima nella capanna dove abito, rifocillatevi e riposate un poco, poi vi condurrò da Mamete”. Una volta entrati, offrì loro del formaggio, sia fresco che stagionato, e sedutisi mangiarono e si riposarono un poco. Passato il meriggio, mentre Mamete stando ritto su di un masso leggeva il Vangelo, ecco che una moltitudine di bestie lo circondò. Vedendo ciò, i soldati fuggirono in una spelonca e lo pregarono dicendo: “Abbi pietà di noi e fa in modo che queste bestie non ci divorino”.
10. Rispose loro: “Ascoltate, fratelli, e comprendete la verità. Dio ha permesso che queste bestie si radunassero alla voce del Vangelo a condanna del genere umano. Infatti ascoltano la voce del Signore Gesù Cristo e diventano mansueti i leoni, gli orsi, le pantere, i lupi, gli onagri, i cervi, i cavalli selvaggi, i bufali ed ogni specie di fiere. A questo santo nome si inchinano e divengono miti; si aiutano a vicenda costoro che posseggono una natura tale da dilaniarsi tra sé. Poiché le Sacre Scritture dicono agli umili ‘non fate come il cavallo e il mulo nei quali non c’è intelligenza’, a confusione dell’uomo i lupi ed i leoni dimostrano comprensione. È tale la dolcezza del suo nome che anche gli animali del campo lo riconoscono come loro Creatore. Gli uomini invece ai quali Dio donò l’intelligenza come dote naturale, non solo si rifiutano di credere nel loro Creatore, ma anzi procurano sofferenze a coloro che credono per poi ucciderli. Dio tollera che ciò avvenga, poiché conosce bene le degne pene preparate ai persecutori ed i meritati premi e la vita eterna che sono messi in serbo per tutti i giusti e i credenti. Perciò, al fine di non impedire la corona promessa ai vincitori permette la battaglia. Non temete questa moltitudine di bestie, poiché, udito il nome di Gesù Cristo, non si dilaniano vicendevolmente né toccano le semplici giumente. Stanno insieme cervi, onagri, leoni, orsi e pantere, nessuno fa del male all’altro. Anche i vostri cavalli restano illesi in mezzo a queste fiere. Ciò viene operato in forza di quel nome che, invocato con mani innocenti e cuore puro, ha il potere di ammansire ogni fiera. Anche Daniele è scritto che incorse nell’ira furente del popolo per aver distrutto l’idolo e ucciso il serpente considerati divini. Costui, gettato per sette giorni in una fossa di ferocissimi leoni affamati, rimase incolume e intatto, poiché aveva invocato fedelmente il nome del Signore. Così, dunque, è stato promesso che chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvo”.
11. Predicando Mamete queste e simili cose, i soldati gli si prostrarono innanzi dicendo: “Crediamo con tutto il cuore che il Signore Dio tuo che tu adori è il vero Dio. Rendici cristiani affinché anche noi lo conosciamo e lo adoriamo. Quanto a te, se vorrai venire dal preside, dovrai sopportare molti mali, se invece non vorrai venire fa’ come vuoi”. Rispose loro Mamete: “Ascoltate, fratelli e non solo fratelli, poiché avete incominciato a professare la fede in un unico Dio; se verrò con voi in città conseguirò una duplice corona. La prima per il fatto di farvi diventare cristiani per mezzo dei sacerdoti di Dio, la seconda per il fatto che offrirò un esempio di costanza ai cristiani affinché secondo i comandi del Signore non temano colui che uccide il corpo ma colui che ha il potere di perdere il corpo e l’anima nella Geenna”. Dicendo questo, cominciò a esortarli di portarlo con loro. Lungo la via c’era un uomo di Dio, un santo presbitero di nome Cratone. Costui si teneva nascosto a causa della persecuzione in un tugurio di un tale di nome Maturbio, uomo cristiano e militante. Condusse a lui questi soldati e li fece battezzare. Il giorno dopo entrò con loro in città. Al suo ingresso ci fu un tumulto di folla che, credendolo trascinato contro la sua volontà, lo insultava. Fu subito riferito al preside che veniva condotto Mamete. Una volta entrati, i soldati furono interrogati su tutto ciò che lo riguardava. Questi risposero: “Signor preside, ingiustamente i sacerdoti hanno accusato costui di magia. Al contrario egli adora il Dio onnipotente. Per questo motivo tutte le fiere si radunano attorno a lui per confondere gli uomini che si rivelano peggiori delle bestie. Quando infatti abbiamo constatato tanta innocenza in questo ragazzo, gli abbiamo detto di non seguirci se non l’avesse voluto. Egli ci rispose di non temere l’uomo, che uccide il corpo, ma il Signore, che può far perire il corpo e l’anima nella Geenna”.
12. Il preside, indignato, disse loro: “A quanto sembra, avete ricevuto denaro da lui per parlare così a suo favore”. Essi risposero: “Ciò che abbiamo ricevuto da lui supera ogni prezzo. Infatti una perla viene venduta e comprata con oro per il suo valore. La fede in Dio non ha prezzo né si compra con soldi”. “A quanto vedo, siete stati contagiati anche voi”, rispose il preside. Ed essi dissero: “Noi non siamo infetti ma perfetti cristiani: infatti professiamo che Cristo è Dio nel cui nome le fiere si ammansiscono. Gli uomini invece assumono la ferocia delle fiere e le fiere la mitezza delle pecore”. Poiché dicevano queste cose ed altre simili, comandò che Abdan, Dan, Niceforo, Milizio, Romano, Didimo, Secondino e Prisco fossero rinchiusi nel carcere fino a nuove disposizioni da parte dell’imperatore Aureliano. Questi comandò che coloro i quali non avessero sacrificato fossero messi a morte. Intanto, condotti via costoro, fu introdotto Mamete. Vedendolo un bellissimo ragazzo di circa diciassette anni, il preside disse: “Gli dei ti siamo propizi e non permettano che questo bel fiore della tua gioventù possa perire”. Egli rispose: “I tuoi dei non possono essermi propizi, perché dovunque io li trovi, li tormento con un fuoco spirituale. Essi infatti sono demoni che, introdotti nei corpi umani, li torturano con svariate disgrazie, io li avvampo con un fuoco invisibile per l’invocazione del nome del mio Signore Gesù Cristo. Bruciati da esso, gridano di soffrire i tormenti della nostra fede”. Rispose il preside Alessandro: “Dove hai imparato queste arti magiche e questi malefici per parlare così bene?”
13. Rispose Mamete: “Le arti magiche furono inventate dal Diavolo. Chiunque ne farà uso in esse perirà. Ogni genere di malefici sono contrari alla nostra fede e noi non abbiamo imparato nessun altro segno se non quello di Cristo. Sappiamo bene che in questo segno sono vinti tutti i malefici e abolite tutte le figure magiche”. Gli disse il preside: “Nega che Cristo è Dio e vattene libero”. Rispose Mamete: “Dimmi che cosa è per te Aureliano”. “È il mio signore e imperatore – rispose il preside – degno di adorazione perché invincibile”. E Mamete a lui: “Se tu non osi negare che Aureliano è il tuo signore pur essendo un uomo, come potrò io negare Gesù Cristo, re immortale e creatore di ogni bene che è il Figlio di Dio? Piuttosto che negare il nome così grande del mio Salvatore e Redentore, mi farei tagliare la lingua”. “Io cerco un motivo per liberarti, ma se tu preferisci morire, abbi ciò che desideri”, disse il preside. Mamete rispose: “Non posso temere la morte che so essere preziosa agli occhi del Signore, morire confessando Cristo significa vivere in eterno”. Gli disse il preside: “Vedi quale audacia dimostri prima di provare la frusta. Proferirai parole di altro tenore quando assaggerai la frusta, i tormenti, i supplizi dei carnefici e le fiamme”.
14. Gli dice Mamete: “Inizia pure a contare i supplizi, comincia ad escogitare nuovi tormenti, non c’è che un solo corpo sul quale puoi infliggerli. È più importante una coscienza sicura della paura dei tormenti. Ciò che tu chiami aculeo, io lo considero la croce di Cristo. Ricordo il mio Signore flagellato e coronato di spine, deriso, ucciso, morto e sepolto, ma mi glorio di lui risorto e mi rallegro per la sua ascensione al cielo. Tutto questo egli lo sopportò non per sé, poiché è Dio onnipotente come il Padre, ma per noi peccatori. Gli eterni supplizi che erano a noi destinati per i nostri peccati egli li prese su di sé, trasferendo nella nostra mortalità la sua immortalità”. Gli rispose il preside: “La tua arte magica ti ha tolto il senno, toglierò io con le torture la tua follia”. Ordinò quindi di stenderlo sul cavalletto in modo da tendergli le costole e disse ai carnefici di infierire a turno su di lui con le torture. Dopo che venti uomini si erano stancati a furia di tormentarlo, gli disse il preside: “Allora, Mamete, da quando sono venuti da te i carnefici hai finito di parlare”. “Stolto – gli rispose – senza intelligenza e vano, non credi che io parlo con gli Angeli di Dio? Se così non fosse sarei venuto meno anche se avessi avuto la forza di cento uomini. Chi mi dà conforto se non il mio Signore Gesù Cristo, che mi fa sorridere dei tormenti pensando che tu sarai oggetto di tormenti maggiori?”
15. Impallidì il preside e cominciando a tremare comandò che fosse legato ad uno stipite dentro una fossa e che fossero raccolte attorno a lui sterpaglie, come si suole fare con i covoni delle messi. Appiccato il fuoco, il preside se ne andò gridando: “Mamete, hai ciò che ti ha preparato Cristo”. Il fuoco fu acceso circa alle tre del pomeriggio ed arse fino al vespero. Allora il preside disse ai servi: “Andate e gettate nel fiume le sue ceneri, affinché i cristiani non lo venerino come martire”. Essi tornarono dicendo: “Non l’abbiamo noi forse lasciato nella fossa nudo e legato allo stipite con la legna attorno e il fuoco acceso? Come mai ora se ne sta nella fossa vestito, invocando Cristo e proclamando che egli è il vero Dio del cielo e della terra e non ve n’è altro all’infuori di Lui?”. Alessandro si meravigliò e comandò di condurlo da lui. Gli disse: “Che razza di arte magica è la tua che fa in modo che il fuoco non bruci?”. Gli rispose Mamete: “Questa arte non è magia, ma è potenza di Cristo che ti invita a credere, perché se pure non vuoi credere alle parole di verità almeno credi alle opere”. Gli disse Alessandro: “Ti prego, nega Cristo Dio per diventare amico mio e del grande re Aureliano”. Gli rispose Mamete: “Sono sicuro che se riconosci Gesù Cristo Vero Dio, i tuoi peccati potranno essere perdonati; non essere come gli idoli che veneri, che hanno occhi e non vedono, riconosci colui che comanda agli elementi e li rende fonte di sollievo per i suoi servi”.
16. Allora comandò che fosse detenuto nel carcere e assegnò cinquanta soldati che avvicendandosi facessero la guardia. In quel carcere si trovavano reclusi quaranta uomini che, macerati dalla lunga prigionia, erano coperti totalmente dai loro capelli. Disse loro Mamete: “Se credete che il Signore Gesù Cristo è il Dio redentore del mondo e il Signore del cielo, lo pregherò perché vi mandi il suo Angelo a sciogliere le catene dal vostro collo ed oggi stesso vi faccia uscire liberi da qui”. Subito quelli cominciarono a gridare a una sola voce: “Cristo Figlio di Dio è Dio e non ve ne sono altri”. Allora, prostratosi in orazione, Mamete cominciò a pregare per loro. Avvenne che, mentre pregava, si sciolsero le catene e si aprì la porta del carcere e tutti uscirono glorificando il Signore. Allora i soldati, entrando di buon mattino, videro solamente Mamete che pregava senza catene e dissero: “Dove sono quelli che stavano qui insieme a te?” Rispose loro: “Per mostrarvi che non sto qui recluso contro la mia volontà, il mio Signore Gesù Cristo ha mandato il suo Angelo ad aprire il carcere e a liberare per le mie preghiere tutti quelli che erano qui. Io però non sono uscito, perché non diciate che temo il vostro preside, che è un uomo vano”.
17. Riferito al preside ciò che era avvenuto, questi comandò che Mamete gli fosse portato innanzi e gli disse: “Fino a quando ti ostinerai credendo di vincermi con le tue magie? Con esse infatti hai cambiato l’animo dei soldati che ti ho inviato, tanto da far loro professare che Cristo è il vero Dio, mentre li conoscevo prima come adoratori del grande Giove. Hai fatto inoltre uscire i carcerati accusati di vari crimini. Ma gli dei grandi te solo ritengono autore di questi delitti. Rendili propizi con i sacrifici, oppure, se li disprezzerai, conoscerai la loro ira e il loro furore”. Rispose Mamete: “Io ho insegnato ai soldati da te inviati a deporre il falso servizio militare e abbracciare quello vero, a cambiare, non a lasciare la milizia. Coloro che prima erano soldati del re terreno, sono divenuti così soldati del Re del Cielo. I reclusi nel carcere sono stati tutti liberati perché hanno riconosciuto la divinità di Cristo. Se anche tu vuoi essere liberato dal Diavolo che assedia il tuo cuore, confessa che Cristo è Dio, così da evitare le pene eterne e giungere alla misericordia”.
18. Fortemente adirato, Alessandro comandò di dargli ciò che meritava. Lasciò digiuni per tre giorni gli orsi, i leoni e i leopardi. Il terzo giorno lo fece condurre nel mezzo del teatro e, fissandolo ad uno stipite, lasciò liberi contro di lui sette orsi. Entrati con tanta furia, ruppero con i loro morsi i legami che lo tenevano avvinto e senza fargli alcun male con grande diligenza svelsero lo stesso stipite con le unghie. A tutto il popolo sembrò un miracolo. Ci fu un gran clamore. Alcuni sostenevano che fosse un mago, altri che era innocente, altri ancora che era malvagio, altri invece che era buono. Allora furono inviati contro di lui quattro ferocissimi leoni e sei leopardi, i quali gli andarono incontro come pecore al loro pastore e accovacciandosi ai suoi piedi gli mostravano il proprio affetto scodinzolando. Allora Mamete, rivolgendosi al popolo, disse: “Abitanti di Cesarea, ascoltate e giudicate bene. Io credo in Cristo e, non potendo negare che egli è Dio, ho offeso l’animo del preside. Vengano qui dunque quei soldati che ho condotto alla fede e vengano anche i sacerdoti dei templi che insegnano al popolo a sacrificare agli idoli e rimaniamo tutti in mezzo alle fiere. Noi cristiani invocheremo il nome del Signore Gesù e quelli il nome del loro dio Giove. Sarà riconosciuto da tutti come il nome del vero Dio colui nel quale saremo liberati”.
19. Ciò piacque al popolo, la gente stessa si recò al carcere conducendo i soldati di Cristo e, legati, li espose alle fiere. Mamete sciolse loro le catene ed essi incominciarono a pregare tra le belve e a benedire il Signore Gesù Cristo. Poi furono condotti dal popolo alcuni sacerdoti dei templi, che cominciarono a supplicare il popolo dicendo: “I nostri dei agiscono tramite i malefici”. Allora, adirato contro le belve, Alessandro fece venire i cacciatori per ucciderle tutte. Ma Mamete corse alle porte e, aprendole, disse alle fiere: “L’onore della cristianità vi offre questa occasione, andate in pace ai vostri luoghi senza recar danno ad alcuno”. Con mitezza tutte le bestie uscirono senza far del male a nessuno, entrarono nei boschi e non furono più catturate per gli spettacoli. Il preside allora ordinò di legare con cinghie Mamete. I santi soldati di Cristo Abdan, Dan, Niceforo, Milizio, Romano, Didimo, Secondino e Prisco furono invece in quello stesso giorno decapitati, rendendo grazie per essere stimati degni di morire per il nome di Cristo. I loro corpi furono portati di notte dai cristiani alle pendici del monte Arcet e sepolti.
20. Il giorno seguente il preside comandò che Mamete fosse rinchiuso in un luogo oscuro e lasciato per trenta giorni senza cibo, pensando che sarebbe morto. Trascorso quel periodo, disse: “Andate a togliere le ossa di là e gettatele nel fiume”. Arrivati, trovarono Mamete seduto ad una mensa imbandita e con le lampade accese, mentre sazio e gioioso rendeva grazie a Cristo. Riferito questo fatto al preside, questi ordinò di ungerlo con miele e di legarlo ad un albero pieno di formiche. Lasciato legato per tutta la giornata, nessuna formica lo toccò. Allora gli si accostò un leone di grosse dimensioni, lo sciolse dai legami e con la lingua gli leccava le membra, invitandolo con un gemito a seguirlo nel bosco. Mamete intuì ciò che voleva, ma disse: “È giunto il tempo di presentarmi dinanzi al mio Signore”. Ma quello, accovacciato ai suoi piedi, vigilava che nessuno lo toccasse. Mandati due soldati a prenderlo, il leone li trattenne e per comando di Mamete non fece loro alcun male, ma li trascinò davanti a lui e cominciò a custodirli. Non sapendo ciò che era avvenuto, il preside inviò altri soldati, i quali si adirarono coi primi per il loro indugio. Il leone si inferocì contro di loro e, trattenendo anch’essi, li pose ai suoi piedi. Allora Mamete disse loro: “Ecco, i ferocissimi leoni sono più miti di voi; nonostante questi prodigi, ancora non riconoscete Cristo?” Quelli gridavano dicendo: “Liberaci e crederemo che Cristo tuo Dio è il vero Dio”. Allora Mamete, rivolto al leone, disse: “Ritorna nei tuoi luoghi”. Il leone gemeva piangendo, perché Mamete non voleva seguirlo nel bosco. Gli disse di nuovo Mamete: “Va’ in pace, perché oggi sarò al cospetto del mio Re”.
21. Il leone, piangendo, se ne andò. Coloro che furono liberati credettero in Cristo. Mamete, presentatosi al preside, disse: “Poiché con tanti prodigi sei stato indotto a credere, ma ancora persisti nell’animo indurito, sarai rapito dagli angeli delle tenebre, che ti porteranno nel luogo delle pene eterne, mentre io in preghiera sarò presentato al mio Signore”. Inginocchiatosi in preghiera, Mamete emise lo spirito. Nello stesso giorno tra molte sofferenze il preside morì. Allora fu restituita ai cristiani la chiesa e anche i pagani contribuirono a edificarla. Mentre ciò avveniva, fu dato l’annuncio della morte di Aureliano e cominciò un periodo di pace. La basilica dedicata a S. Mamete fu fabbricata nel tredicesimo giorno delle calende di gennaio e la sua deposizione nel luogo dove ancora riposa nel sedicesimo delle calende di settembre.
22. In greco abbiamo scritto ciò che abbiamo visto noi vescovi Euprepio, Cratone e Perigene. Crediamo che la fede cattolica consiste nel professare che il Padre genera il Figlio, il Figlio è generato dal Padre e che lo Spirito Santo procede dal Padre essendo di una sola sostanza. Non permettiamo di credere che l’età aggiunga qualcosa di maggiore in Dio. Infatti il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo non sono da considerare in una qualche età ma in un’unica divinità. All’età comanda il tempo, ma è Dio che è Signore del tempo. Quando si dice che Dio è Padre, lo si afferma dal momento in cui esiste e quindi da sempre, perché questo nome in lui non è un accidente. È dunque sempre ciò che è: un solo Dio, vero Padre, vero Figlio, vero Spirito Santo, che è fu e sarà nel suo regno nel quale regna prima di tutte le cose ora e sempre e per tutti i secoli dei secoli. Amen.