26 Mag Breve storia della Valsolda – Storia
San Mamete si estende sui lati della foce del Soldo, che sfocia nel lago di Lugano (o Ceresio). Specie durante l’estate, molti sono i turisti che vengono (anche in pullman con guida) a visitare la chiesa di San Mamete, salendo i quasi novanta gradini per arrivare sul sagrato. Noi oggi pensiamo anzitutto alla funzionalità (accessibilità) del tempio, per facilitare ai fedeli, anche anziani, il recarvisi. Ed amiamo di più vedere Dio fattosi uomo per noi e abitante quindi fra le nostre case, allo stesso piano. Nei secoli di grande fede, la chiesa doveva, invece, essere in alto, visibile da lontano, per richiamare Dio e la Sua onnipotenza: la fatica per salirvi faceva parte della penitenza cristiana, necessaria nel pellegrinaggio verso il Paradiso.
La Valsolda, con solo duemila abitanti, ha ben sei parrocchie, frutto delle distanze scomode lungo la valle e della fede degli abitanti, che finanziarono la costruzione della casa parrocchiale e il mantenimento del sacerdote. San Mamete si staccò da Porlezza nel 1546 (era stata consacrata nel 1470 dal card. Nardini); le altre parrocchie si formarono staccandosi a loro volta da San Mamete lungo il Seicento (la prima fu Castello, nel 1603; l’ultima Cressogno, nel 1682).
La chiesa di Castello è da visitare, perché ha la volta tutta coperta da un solo affresco: lo dipinse Paolo Pagani (nativo del luogo) nel 1697 ed è caratteristica per una padronanza così geniale della tecnica prospettica, che le figure sembrano sospese nel vuoto, a grappoli penduli.
La Valsolda, dopo il Tibaldi, ebbe molti architetti e pittori, che giunsero fino in Polonia, Cecoslovacchia, Spagna, ecc. Tornando per le ferie natalizie ed estive, portavano offerte o dipingevano le loro chiese: delle numerose pitture della chiesa di San Mamete, una sola è firmata, perché la fede faceva scegliere l’umiltà e il lavoro era per la maggior gloria di Dio.
Un’ultima notizia storica: la Valsolda fu principato degli Arcivescovi di Milano a datare (almeno) dal 1127, quando Milano e Como cessarono una guerra decennale per intervento appunto del pastore della Chiesa milanese. Regalo e, quindi, possesso allodiale (privato), ma esercitato in maniera feudale (dipendente dal potere politico). Valsolda si resse come comune libero, sotto l’alta sovranità degli arcivescovi di Milano, fino al 1782. Ebbe “Statuti” che fissavano diritti e doveri: all’arcivescovo pagavano trecento lire all’anno, almeno per metà abbonati in caso di siccità o di allagamenti ad opera del fiume Soldo e del lago. Il “governatore o podestà” era eletto il giorno di santo Stefano dai capifamiglia della Valle, radunati nella chiesa di San Mamete. C’era la sala del Consiglio, il tribunale (ora trasformato in cappella feriale) e la prigione (odierna sacrestia). Non fu mai pronunciata pena di morte che, in ogni caso, richiedeva la conferma dell’arcivescovo.
Nel 1515 la Valsolda ebbe il suo momento storico. Vinti a Marignano dai Francesi di Francesco I, i soldati svizzeri al soldo di Massimiliano Sforza si ritirarono oltralpe, esigendo però il “soldo” dei cinque anni non pagati dal ducato milanese, che avevano difeso. Si ebbero il Canton Ticino, che per orografia appartiene all’Italia fino al Gottardo. Il Cantone, geograficamente, giungerebbe fino al displuvio dei due laghi di Lugano e Como, cioè al di sopra di Menaggio. Ma l’esistenza del possesso-feudo ecclesiastico di Valsolda costrinse i contraenti a fermarsi a Gandria-Oria, lasciando diviso anche il lago Ceresio, il cui lato nord-est, così, rimase all’Italia. La “Vallis solida” (valle rocciosa?) aveva avuto la sua funzione storica, benché il suo figlio adottivo, Antonio Fogazzaro, la considerasse “piccolo mondo” per il suo isolamento nel secolo XIX. Ora esso è culturalmente superato dai mezzi di comunicazione sociale e, materialmente, dalle strade e statali e comunali costruite a cominciare dal 1910. Fino ad allora le vie di comunicazione erano il lago (in barca) ed i sentieri (a piedi).
Come finì il “Comune libero” di Valsolda? Per volontà dell’imperatore Giuseppe II. Morto il cardinal Romilli nel 1782, l’imperatore massone e sacrestano (quest’ultimo appellativo glielo affibbiò il cugino Federico II di Prussia) non rinnovò il feudo ed impose un arcivescovo (Federico Visconti) che accettò l’arbitrio. Per il comune fu la fine della libertà, dell’esenzione dal servizio militare, del governo paterno e soccorrevole della chiesa, delle tasse simboliche. Ma entrava nella vita movimentata di una grande nazione.
don Marcello De Grandi